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La possibilità di guidare, afferrare un bicchiere, giocare a carte. Di ritornare a una vita normale, riavendo la mano perduta. Adesso è possibile, grazie ad Hannes, la mano protesica poliarticolata di nuova generazione, frutto di un progetto che ha visto la collaborazione tra l’Istituto italiano di tecnologia di Genova (IIt) e l’Inail. «Un lavoro durato tre anni», racconta Lorenzo De Michieli, direttore del Rehab Technology Iit-Inail Lab, all’interno del quale è stata studiata la mano robotica. «Si tratta di una vera rivoluzione ingegneristica messa a punto da un team di 5 persone che ha lavorato a tempo pieno per un costo complessivo di circa 5 milioni di euro». Co-finanziato dall’Inail, in particolare dal centro protesi di Budrio, il progetto ha permesso lo scambio e la connessione tra l’aspetto tecnologico-ingegneristico e quello medicale e fisioterapeutico, senza dimenticare il rapporto con il paziente. La mano infatti è stata testata e messa a punto su una persona che in seguito a un incidente sul lavoro, ha perso l’arto destro a 16 anni. Oggi, cinquant’anni dopo, l’uomo è contento di essersi potuto riappropriare di una parte della sua vita, finora passata privilegiando la mano sinistra. «La nostra protesi costa sui 10, 12 mila euro. Il sistema nazionale copre fino a 6mila euro, permettendo così di accedere a un oggetto con capacità migliori rispetto ad altre protesi in commercio molto più costose. Ci si rivolge per lo più a persone rimaste ferite sul lavoro ma il tema della mano robotica tocca quello più grande della mobilità», spiega De Michieli. In una società che tende a invecchiare, con un basso tasso di natalità, lo studio di come tecnologia e robot possano essere impiegati nell’ambito sanitario e riabilitativo si sta rivelando importante al fine di rendere quanto più autonomi i pazienti.

Con questa mano si può tornare a fare ciò che si faceva prima

Hannes restituisce il 90% delle funzionalità perdute da chi ha subito l’amputazione. Le sue caratteristiche sono morbidezza e capacità di adattarsi alla forma dell’oggetto che afferra. Ciò spiega la sua conformazione e la qualità dei movimenti equiparabili a quelli di una mano “vera”. Non è quindi percepita come un elemento estraneo. Le dita, dotate di falangi, si piegano. Il pollice può assumere 3 diverse posizioni, replicando diversi tipi di presa, sia per oggetti piccoli che grandi o pesanti. Il meccanismo alla base del movimento delle dita è dato da un differenziale che dà alla mano abilità e versatilità. Il polso si muove in flesso estensione e prono supinazione, compiendo anche movimenti rotatori. Tutto ciò dipende da un sistema di controllo che sfrutta la contrazione muscolare dell’arto residuo, derivante da un comando dato dal cervello. Degli appositi sensori “leggono” l’impulso attraverso la reazione muscolare e trasmettono alla componente elettronica il segnale, attivando così il movimento desiderato. Proposta in due misure, la mano prevede anche l’uso di guanti di rivestimento adattati all’uomo e alla donna.

     

Hannes nasce dal lavoro di 5 ingegneri tra i 27 e i 35 anni. Tra loro, Niccolò Boccardo, 28 anni, genovese, ingegnere biomedico specializzato in robotica e meccatronica, che dopo un’esperienza al Cern di Ginevra, è tornato a Genova, lavorando all’IIt. «Passare da una mano robotica dedicata alla ricerca a un dispositivo da usare non è semplice. Bisogna garantire un numero di cicli, la funzionalità e le prestazioni. È come una lavatrice che deve funzionare a ogni ciclo», spiega Boccardo. «Ciò richiede un meccanismo umanoide, in grado di gestire circa mezzo milione di mosse al giorno. Uno dei momenti più difficili? Quando dopo un certo numero di cicli il sistema si rompeva, i cavetti si usuravano. Ce ne volevano di più adatti. Alla fine la dritta giusta me l’ha data una signora che lavorava in pescheria e che era stata nelle corderie per 80 anni. Si tratta della fibra di polietilene. Estremamente resistente. Avevamo trovato la soluzione», conclude Boccardo.