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La “Robolution” è in corso. Robot e intelligenza artificiale stanno entrando nella vita quotidiana. E anche nel lavoro. Sono sempre di più le persone che temono di vedersi sostituite da macchine, perdendo il posto di lavoro, nell’ambito di società che sempre meno mette al centro l’individuo. D’altra parte, il caso di Bnl pronta a ingenti tagli di personale introducendo al contempo soluzioni di machine learning e AI, non può che rinforzare queste paure.
Come si può evitare che l’artificiale prenda il controllo sull’umano? «In un mondo che sempre più integra l’intelligenza artificiale, comunicazione e fiducia restano gli elementi su cui gli essere umani continueranno a distinguersi, anche nel lavoro».
Risponde così Sergio Borra, Ceo di Dale Carnegie Italia, società di riferimento per la formazione aziendale, manageriale e comportamentale. Presentando i risultati della ricerca condotta in numerose aziende in 11 Stati sul rapporto tra AI e mondo del lavoro, Borra afferma che sono le “soft skills” a fare la differenza nella fase di transizione che stiamo attualmente vivendo, con le aziende inclini a “svecchiarsi”, virando verso nuove tecnologie, garanti a loro volta di una riduzione dei costi.

Sergio Borra, Ceo di Carnergie Italia

«Sono considerate cruciali comunicazione, creatività», prosegue Borra. «I big data e la loro analisi per gestire al meglio la prestazione aziendale sono importanti, ma lo saranno ancora di più se affiancati dal tocco umano che solo la persona può dare. La connessione e le relazioni umane sono importanti in un mondo sempre più interconnesso. È compito dei leader far capire che l’intelligenza artificiale può veramente cambiare la vita delle persone, automatizzare i processi, renderli più efficienti riducendo i costi e aumentando possibilmente i ricavi».
L’uomo dunque non sarà sostituito dall’intelligenza artificiale ma collaborerà con essa. «Sì, ma si debbono affinare certe competenze. Ciò che funzionava in passato difficilmente funziona ancora adesso». La paura del cambiamento e del nuovo non è certo una novità. «Ciò è dovuto sia alle grandi potenzialità dell’intelligenza artificiale ma soprattutto all’accelerazione e alla velocità che il processo sta avendo. Le persone non sono ancora pronte a tutto questo. In questo senso è fondamentale che al centro ci sia l’uomo. Certo, ci saranno delle figure professionali che spariranno, un po’ come quando sparirono i dattilografi con l’avvento del computer. Ma si creeranno altri posti di lavoro, con nuove figure professionali che richiederanno competenze diverse che includono sia figure tecniche che profili umanisti. In molte realtà sta crescendo la consapevolezza della necessità di valorizzare l’aspetto umano. In qualcuna il Ceo è addirittura chiamato chief empathy officer, o chief emotion officer». A indicare, secondo Borra, quanto l’importanza dell’empatia sia forte.